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Posted by on Gen 19, 2015 in Calcio | 0 comments

I campioni hanno dieci in condotta

I campioni hanno dieci in condotta

Le discussioni sulla recente consegna del Pallone d’Oro sono chiaramente state il fulcro delle chiacchiere sportive di ogni dove. Neuer è stato tradito dai propri colleghi portieri, Cristiano Ronaldo ha mosso un altro passo verso il quarto premio da conquistare per raggiungere l’eterno rivale Lionel, mentre l’argentino nonostante lo scintillante completo viola-bordeaux è dovuto tornare in Catalogna a mani vuote.

La consegna dell’ambito premio ci dà materiale per una riflessione più generale: come è arrivato CR7 a conquistare la vittoria? Come si è issato sul gradino più alto del podio alla serata di Zurigo organizzata dalla Fifa? Certamente grazie alla sicurezza in se stesso, grazie al talento che qualcuno ha iniettato a grandi dosi nelle sue gambe, ma forse ancor di più grazie a qualcos’altro: la dedizione.

Ebbene sì, Cristiano Ronaldo dedica anima e corpo al suo lavoro, da autentico professionista. Basti vedere la sua esultanza all’annuncio della premiazione, dalla quale trapela in maniera evidente quanto il numero 7 dei blancos di Madrid tenga a raggiungere i più alti obiettivi nella propria carriera. Ronaldo, infatti, per ottenere tali risultati fuori dal comune, conduce una vita all’insegna del buon vivere nel senso più genuino del termine. Almeno 8 ore di sonno a notte, migliaia di addominali al giorno, esercizi in palestra e solo qualche chiacchierata avventura amorosa. A ciò si aggiunge l’impegno in campo sociale: un esempio? Dal gennaio 2013 è ambasciatore di Save the Children.

Come lui, anche gli altri due candidati al Pallone d’Oro dirigono una vita di grande stabilità e di notevole dedizione: Messi ha un rapporto strettissimo con la propria famiglia e con la propria terra natale (Rosario, vicino a Santa Fe), è ambasciatore, anche lui, ma dell’UNICEF, nonché già padre del piccolo Thiago, nato nel novembre del 2012; Neuer, dal canto suo, ha ben poche uscite stravaganti nel proprio curriculum, se escludiamo quelle fuori dall’area che lo hanno visto spesso protagonista dentro il rettangolo di gioco. Ma la lista non si ferma qui. Guardando i grandi campioni degli ultimi anni, o meglio coloro che sono riusciti ad avere con costanza una carriera calcistica di successo, troviamo i vari Zanetti, Totti, Del Piero, Puyol, Casillas, giusto per citare qualche grande bandiera degli anni 2000. Tutti hanno qualcosa in comune: la completa dedizione al proprio lavoro, che li mantiene concentrati su di esso escludendo distrazioni e tentazioni di una vita da vere e proprie star.
Gli esempi, d’altra parte, di chi ha raggiunto la vetta senza rinunciare a una vita di sregolatezze vi sono, ma qualcosa ad un certo punto sembra sempre essere andato storto. Conosciamo fin troppo bene le (dis)avventure del più grande giocatore al mondo, Diego Armando Maradona, ma non è il solo. Chi potrebbe dimenticare le feste di Ronaldinho o la vida loca del Ronaldo brasiliano dopo aver conquistato gli stadi di tutta Europa? O ancora, in Spagna c’è chi ricorda tuttora gli innumerevoli sfottò a Cassano quando l’irriverente talento di Bari Vecchia si fece “ammirare” con la maglia del Real Madrid. Nella capitale iberica lo soprannominarono “El Gordito”, “Il grassottello” (perché va bene tutto ma “El Gordo” rimane sempre il Fenomeno). Non basta? Balotelli, l’eterna promessa Adu (per chi non conosce questo simpatico ragazzo statunitense, si vada a rivedere la copertina di Fifa 06 Soccer, prima che la bella vita lo facesse scomparire), lo stesso Osvaldo, calciatore di sicuro valore attualmente (per quanto ancora?) in forza all’Inter, non sono finora riusciti a trovare la giusta continuità a causa dei propri difetti caratteriali e di abitudini degne di una rock star. Sembrerebbe dunque che l’incostanza fuori dal campo influisca pesantemente sulle prestazioni atletiche. Nordirlandese, Pallone d’Oro nel 1968, all’apice della propria carriera George Best affermò: «Ho speso molti soldi per alcool, donne e macchine veloci; il resto l’ho sperperato». Tra i più forti e folli giocatori del mondo, coniugò vita di eccessi e carriera di successi. L’eccezione che conferma la regola? No. Anche il formidabile Best alla tenera età di 26 anni (un anno in meno di Messi ad oggi e tre in meno di CR7, per intenderci), aveva di fatto già chiuso la sua strepitosa parabola. Infatti, nella stagione 1971-72, la terzultima nei Red Devils che lo resero famoso, George Best si laurea capocannoniere nonché migliore assistman del campionato. Ma i due anni successivi ben poche presenze e soli 6 goal all’attivo. Di lì il tracollo, in giro per Gran Bretagna, Stati Uniti, persino Australia. Ma senza questa vita agli estremi sarebbe diventato il George Best che conosciamo? In altre parole, senza cavalcare l’onda del proprio mito ribelle avrebbe trovato le risorse mentali per sprigionare tutto il talento che abbiamo potuto ammirare?

Una cosa è certa: per rendere ad alti livelli in uno sport in cui la tecnica e la prestanza fisica sono testati di continuo il corpo dell’atleta deve essere al primo posto. Deve ancora nascere l’uomo che sappia imporsi ai vertici del calcio giocato per tutta la durata della propria carriera e possa concedersi una vita che non conosca regole. Purtroppo per raggiungere livelli così alti, forse, il sacrificio tanto sbandierato è l’unica, scomoda via, suonare a casa Ronaldo per conferma. A meno che non stia facendo addominali.

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Enrico Cavallotti

Studente di Economia e giocatore di pallanuoto, mi occupo soprattutto di calcio e sport acquatici.

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